NON CI SONO
FANTASMI

Lorena Bucur e Arianna Zama

 

Testo di Miral Rivalta e Vanessa Wellington

25/02/2023 – 23/03/2023

 

 

Fuocherello presenta Non ci sono fantasmi, una mostra di Arianna Zama (Lugo, 1998) e Lorena Bucur (Cremona, 1996). Il progetto espositivo da forma alla trasformazione di un archivio, da personale a collettivo, abbandonando le pareti della mente per posizionarsi su quelle dello spazio. Il lavoro delle due artiste è caratterizzato dalla ricerca, produzione e conservazione di immagini, mai veramente complete; scorci di vegetazione e pezzi di corpi infestano i muri e rimangono ad osservarci in silenzio, riempiendo lo spazio di presenze.

Nei lavori pittorici realizzati da Zama veniamo a conoscenza dell’immaginario dell’artista stessa, intriso di associazioni mitologiche, letterarie e storiche, come nel caso di Anna Bolena, e di elementi, provenienti da una realtà sfuggente, mai esistita. Parti di corpi e di vegetazione emergono da tonalità che ricordano la nebbia e la palude della Romagna, suo luogo di nascita. Nonostante la pittura di Zama sia di dimensioni ridotte le figure non si mostrano come discrete, volti femminili e smorfie mostruose si appropriano delle pareti. Le tele minute incuriosiscono lo spettatore e spingono ad avvicinarsi, ma i segni sulla superfice pittorica destabilizzano e respingono. Così sollecitano una visita che si tramuta in danza, di passi in avanti e indietro alla ricerca della cattura di sbirciate furtive. Le composizioni pittoriche sono caratterizzate da velature e sfumature di estrema delicatezza, e pennellate essenziali che delineano elementi riconoscibili del volto, come occhi e bocca. I ritratti sono la base di partenza per una narrazione fatta di frammenti e costruita solo a posteriori. I soggetti sono poco leggibili, come un ricordo ormai abbandonato al tempo, lasciando allo spettatore la possibilità di creare un racconto nuovo, attingendo dalle proprie memorie e mescolandosi in un passo a due con quelli della pittrice. Il baricentro si sposta in continuazione tra la narrazione e la sua rappresentazione, restituendoci una piazza ricca di teste decapitate come nella Francia rivoluzionaria.

Se nei lavori di Zama troviamo un archivio di teste recise, con Bucur ci imbattiamo in un archivio di fotografie astigmatiche. Postcard bricks è una serie di scatti realizzati in analogico e successivamente sviluppati su lastre di cemento 10×15 cm, come ci anticipa il titolo, dimensione da cartolina e rimando ai mattoni di costruzione. La superficie bidimensionale della fotografia si espande verso la tridimensionalità scultorea mutando l’immagine in oggetto. Sebbene il grigio del cemento gravi sulla leggerezza degli elementi immortalati e sulla brillantezza della fotografia, la concretezza della materia conferisce invece gravità scultorea ai frammenti di una natura timida tale da renderla protagonista, creando un ossimoro visivo. Sebbene il cemento sia materiale tipico dei cantieri e simbolico, insieme al petrolio dell’antropizzazione e dominio sulla terra dell’uomo, per l’artista questo materiale ha un forte richiamo alla femminilità. Il cemento, infatti, finisce la fase di indurimento dopo 28 giorni, ed è appunto materiale principale per la costruzione edilizia, (come i mattoni precedentemente menzionati) tra cui ovviamente, la casa. La casa, luogo che nella società capitalistica e patriarcale è simbolicamente associato alla donna perché luogo di cura e custodia famigliare.

Grazie al materiale le lastre di Bucur assumono l’opacità assoluta del cemento, e una liscezza che gli proferisce un’attrattività tattile degna di nota. I piccoli elementi vegetali fotografati diventano per l’artista ciò che spicca maggiormente in un panorama di bitume urbano. Come piccoli fili di erba che crepano il cemento e l’asfalto delle strade. Bucur ci invita così a riflettere sull’affollamento visivo della nostra epoca, costringendo lo spettatore a prestare attenzione a quello che si trova sullo sfondo, sugli oggetti tralasciati alla vista come le piante e le erbacce nelle rotonde, nel famoso terzo paesaggio di Gilles Clément.

Entrando nello spazio espositivo ci soffermiamo istintivamente a guardare le opere di Arianna Zama ma le lastre di Lorena Bucur ci allontanano dalla centralità, visibile in questa mostra e che storicamente ha la pittura sulla parete, spingendo il visitatore a soffermarsi sui dettagli. Con poche eccezioni, troviamo le lastre di Bucur nelle zone più periferiche dello spazio espositivo, lungo le scale, molto in basso sulle pareti, condizionando la posa dello spettatore, obbligandolo letteramente a piegarsi al volere dei suoi lavori. Costringendoli così ad assumere una posizione paritaria nei confronti di questi oggetti; di materiale e rappresentazione sostanzialmente poveri. Con Postcard bricks Bucur infiltra il paesaggio, la natura nelle sue forme meno iconiche, nell’architettura, e Zama lo popola.