Coppia

Davide Rivalta e Emanuele Becheri

 

Testo di Emanuele Becheri

20/05/2022

La scoperta di alcune opere di Davide Rivalta è avvenuta nell’anno 2004: nella mostra Donner à voir a cura di Saretto Cincinelli. In quella sede mostrai dei disegni tratti dall’incisione di carta copiativa. Davide, alcuni giorni prima dell’inaugurazione disegnò a grafite un tacchino ai piedi di una parete all’interno della galleria: non aveva disegnato il piumaggio del tacchino ma ne aveva restituito un movimento ben fitto aterra, segni che da una certa distanza si ricomponevano facendoti intuire le masse in movimento. All’ingresso del giardino interno di quella abitazione privata che fungeva da galleria ti affrontava, quasi ad impedirne l’accesso, un dromedario in resina bianca.
La testa spaventata dell’animale si faceva avvertire anche al di là del materiale plastico che ne limitava il movimento interno.
Una prima sensazione.
Allora infatti più che affinità con quella scultura, c’era qualcosa nel movimento del segno, nella natura della traccia e infine nel disegno che ci riguardava… la proiezione del gesto, la co-incisione e la sua inevitabile determinazione ed infine la percepita velocità, qualcosa che puzzava di bruciato, sfregamento, incisione.
Era il disegno grave di uno scultore.
Due anni dopo al Künstlerhaus Palais Thurn und Taxis di Bregenz.
Davide posò sull’erba del giardino, con senso gravitazionale non comune, un’aquila in bronzo, la quale puntava il suo sguardo direttamente alle finestre della mostra. Il mattino successivo all’inaugurazione d’istinto volli sincerarmi della presenza del volatile gettando nuovamente lo sguardo dalle finestre del museo: era lì, combatteva con la luce senza perdere, a quella distanza, le vibrazioni essenziali del tocco. Non era un oggetto installato, era la sicura percezione di una presenza.
Solo dieci anni dopo quando iniziai ad interessarmi direttamente alla plastica il rapporto con Davide divenne sempre più definito anche nelle divergenze.
Davide solitamente crea il modello in gesso, costruisce un’anima di ferro e la relativa gabbia per sostenere l’argilla forgiando le nuove forme ‘ingrandite. Continua a studiarlo via via che innesta masse. Solo alla fine si rivela il suo tocco nella perentorietà del gesto, e il modello si trasfigura.
Diversamente, io affronto un volume d’argilla senz’anima; le mie figure hanno lo stesso peso specifico del blocco di partenza.
Su questa difforme premessa d’intendere l’emersione della Figura ho iniziato a presentare a Davide delle piccole sculture che fungessero da modelli da sviluppare in una scala maggiore, consapevoli, entrambi, che il gesto che avviene in piccola dimensione avrebbe avuto difficoltà ad emergere con il sovradimensionamento.
In questo consisteva la sfida al di là della contingenza: far sentire nel bronzo quelle forze motrici che animavano il piccolo modello.
Due opere inevitabilmente collocate una all’esterno nella Cour du Cloitre e l’altra in sala: il risultato di un
avvicinamento nel tempo, un doppio sguardo sulla scultura, filiazioni dalla piccola Coppia di partenza in terracotta reinterpretata da Davide nel definitivo bronzo.
Un percorso di inevitabili tradimenti, dissonanze perdite e acquisizioni.