Miscellanea

Emanuele Becheri

 

Aperto di un crepa

Testo di Miral Rivalta

Durante la mia quarta e più recente visita allo studio di Emanuele Becheri sono rimasta spiazzata dal volume di lavoro che occupava lo spazio. Come se il braccio di ferro tra lui e lo studio, la necessità di superfice libera e quella di creare, uomo e modellazione si fosse concluso, e il lavoro ne fosse uscito vittorioso. Le opere hanno preso il sopravvento. Una pratica che era diventata ormai di prassi per me nello studio di Emanuele era quella di andare a caccia delle sculture “in castigo”. Opere di cui, una volta concluse, non era del tutto convinto, che condannava negli angoli più nascosti dello studio. A volte, in questa ricerca trovavo figure nuove, spesso le stesse di sempre, qualcuna qua e là in attesa di un giudizio finale e spesso fatale. Oggi no. Il lavoro si è propagato a tal punto da cancellare ogni linea di confine tra lavori voluti, curati, mostrati e lavori scacciati, puniti, nascosti.

Questa nuova, almeno per me, invasione di opere cambia anche il modo di visitare lo studio, ogni movimento del visitatore può essere tragicamente disastroso. E, nel prestare estrema attenzione ad ogni movimento, ad ogni passo, il corpo assume una nuova pesantezza; simile a quella che si può percepire dentro ai grandi musei.

              Iniziamo a parlare di alcuni lavori che vorrebbe portare a Volvera per la mostra di Fuocherello. Selezioniamo delle opere dagli scaffali che appoggiamo con cura su lunghe mensole per poterle osservare meglio e confrontarci su accostamenti avvincenti. Dopo aver visto una serie di figure le riponiamo al loro posto. Emanuele sposta la mia attenzione verso un fregio appoggiato sul tavolo alle mie spalle. È il più grande che lui abbia realizzato finora. Il modellare, che richiede un certo quantitativo di forza ed energia, nutre la materia e risulta in un innegabile dinamismo. La terra si anima e contorce come polpa viva. Lo stesso vale per i suoi disegni, realizzati con le mani nel colore ad olio su una tavola, poi “stampati” su grande carta semitrasparente. Come nella scultura sono il lascito di un suo gesto, e riflesso della sua mano. Intenzioni specifiche, dominazione del corpo e risposte fisiche della materia, della gravità, l’olio, la terra.

              Le figure di Emanuele sono schive, non permettono una piena fruizione. Avvicinandomi a loro trovo impossibile trarre soddisfazione assoluta limitandomi a guardarle frontalmente. Questo aspetto, consueto nella scultura, è esasperato nel suo lavoro.  Lo spettatore che incontra i lavori di Emanuele riconosce di avere un’impressione solo parziale delle sue figure, così l’opera impone un’attenzione assoluta e continua; questa immediata consapevolezza ti lega al suo lavoro. Ogni angolo cede alla luce naturale o artificiale dettagli e intuizioni sui soggetti. Sono certa che, chi possiede un suo lavoro, continua a scoprire nuovi dettagli e sfumature anche dopo anni.

Spesso guardandole, specialmente le coppie unite e contorte, mi fanno sentire un po’ voyeur. Osservare questi lavori per me diventa come uno sbirciare, cercare a tutto tondo un punto d’ingresso, di lettura e completa comprensione della forma e dell’immagine, ma l’opera non si concederà mai del tutto. Trovo calzante il modo di dire in inglese, the door cracked open, la porta aperta solo di poco, solo di una crepa.

              I Vasi di Emanuele hanno un’altra tipologia di movimento. Sono opere che abitano lo stesso immaginario delle figure. Si lasciano guardare, accompagnano lo sguardo dell’osservatore e lo accarezzano, il loro movimento come una brezza, è confortante e familiare per ogni spettatore, specialmente per chi di noi è cresciuto guardando Giorgio Morandi. Generati dalle torsioni che Emanuele impone sulla terra i vasi si sviluppano in un racconto più complesso che viene arrestato al movimento che precede l’apparizione della figura. Inoltre, il vaso nella storia dell’arte si confronta con l’immagine del ventre e con tutto ciò che rimanda al vuoto e al pieno.

              È l’insieme di tutti questi elementi, ora nel suo studio, che rende l’incontro con il lavoro di Emanuele sorprendente, specialmente quando lui viene lasciato libero di abitare lo spazio delle sue presenze, dei suoi lavori, con piena supremazia permettendoci di spiare da una crepa*.