A Dispetto Di Noi

Jacopo Casadei

 

A Dispetto Di Noi

mostra di Jacopo Casadei

(a cura di e testo di Enrico Camprini)

È passato qualche anno dal mio primo incontro con Jacopo Casadei, nello studio che ha ricavato dalla piccola soffitta del suo appartamento di Cesena. Ero agli inizi di un periodo – che in tutta onestà non saprei se dire davvero concluso – in cui tentavo, credo con buona dose di ingenuità, di capire come posizionarmi nei confronti di tutta quella pittura che, letteralmente, pareva circondarmi senza apparente via di fuga e che, almeno quantitativamente, oggi si è presa il centro della scena in Italia e non solo. L’ingenuità stava forse nell’inconscia pulsione a pensare la pittura come un monolite, una totalità indifferenziata il cui peso storico e culturale gravava tanto sul singolo quadro quanto sul mio sguardo. In altre parole, come un’impresa dove la posta in gioco risiedeva nel connettere passato e futuro dell’immagine dimenticandone il presente; vale a dire la contraddittorietà del suo venire alla luce, l’ambivalenza tra attimo e durata, tra ideazione e improvvisazione, il tutto precipitato nel curioso terreno di gioco delineato dal perimetro della tela. L’incontro con diversi artisti – Casadei in particolare – mi ha fatto capire l’importanza di questa faticosa leggerezza, in un contesto apparentemente dominato da una pittura “sicura di sé”, affermativa, caratterizzata spesso da una figurazione che con decisione sembra voler dichiarare la propria appartenenza al monolite-pittura. Paradossale ironia, questa è una mostra di figure con un titolo privativo: unica affermazione possibile è quella del presente del quadro, di cui siamo inevitabilmente testimoni di seconda mano.

I lavori di Casadei riescono infatti a mostrarci una forma di incertezza al principio dell’atto di dipingere, da cui esso stesso trae forza; un esercizio di libertà che si esprime nell’agire per prove ed errori, considerando la tela quasi come un quaderno per appunti dal quale non si ricava la sintesi di un discorso ma una visione, la germinazione anche abbozzata o claudicante di un’immagine. In questo senso, A dispetto di noi1 non è solo una mostra di figure – di soggetti connotati, lo vedremo in seguito – ma soprattutto una mostra sulla figura, sul suo ruolo decisivo nella ricerca dell’artista, sul suo apparire sempre variabile, incerto e incostante. Questa è dunque la linea comune alle opere che abbiamo selezionato, senza districarci in narrazioni accessorie. L’unica continuità per certi versi narrativa la si può rintracciare proprio nella scelta dei soggetti, qui come altrove attinti da un immaginario popolare e allo stesso tempo legato al contesto di relazioni umane e territoriali che caratterizzano la biografia di Casadei. “Lirismo provinciale”2, formula di recente utilizzata in merito alla sua pittura, mi pare perfetta: da qui conviene partire, da una sincerità poetica e visceralmente elegante in grado di esprimere con limpidezza una sintesi di particolare e universale, locale e cosmopolita.

Gli 8 dipinti qui presentati appartengono a due piccole serie dedicate a soggetti per niente affini: un gruppo di felini alquanto bizzarri e Carlos Valderrama, iconico giocatore della nazionale di calcio colombiana tra anni Ottanta e Novanta. Che quelle di gatti e calciatori siano immagini piuttosto popolari non c’è dubbio, ma la loro presenza nei lavori di Casadei è dovuta a stimoli legati a tutt’altro. I primi derivano dall’incontro con una bambina – Jacopo fa l’educatore in una scuola primaria – abituata a disegnare felini come mezzo per esprimere i suoi stati d’animo; Valderrama rappresenta invece una memoria dei mitici mondiali di Italia ’90, ma soprattutto di un contesto territoriale e culturale. In quel periodo, mi racconta Jacopo, spesso incontrava al bar di paese – luogo elettivo, depositario di verità millenarie – un signore dalla folta chioma vagamente somigliante a quella del calciatore e per questo accolto da chiunque con “Ué, Valderàma!”, ovviamente esclamato con decisa cadenza romagnola. Si tratta certo di aneddoti di poco conto, possiamo fare a meno di queste informazioni quando ci troviamo davanti al quadro cercando di coglierne quel presente, cioè la sua natura processuale e apparentemente irrisolta. Eppure, credo sia proprio l’origine aneddotica, quotidiana e alle volte triviale dei soggetti in questione a renderli dei pretesti efficaci per fare pittura. Privi di funzione narrativa, della pretesa di giustificare la loro presenza sulla tela, sono a loro modo diventati degli universali; oneste icone di una lirica provinciale, di un dipingere punk con intermezzi jazz.

La cinque tele che percorrono il perimetro dello spazio espositivo scandiscono una sequenza di figure tra loro piuttosto diverse sul piano pittorico, ma che condividono una simile impostazione compositiva. Questi ritratti di felini, alcuni in un abbozzato taglio a trequarti, si presentano come una bizzarra serie di personaggi immaginari sui quali lo spettatore è certo spinto a fantasticare, ma soprattutto propongono una variazione – l’ennesima nel percorso di Casadei – sul tema del rapporto tra figura e sfondo. La chiave del districarsi di questo rapporto sulla superficie del quadro è il disegno; o meglio il conflitto fecondo, mai davvero risolto, tra disegno e pittura. In molti lavori realizzati negli anni dall’artista pareva mantenersi uno status quo, un equilibrio delicato di segni liberi ma sufficientemente allusivi e campiture, equilibrio che ho spesso pensato sull’orlo di rompersi. I ritratti felini rappresentano la deflagrazione che sospettavo: l’emergere deciso della figura sullo sfondo, senza che tuttavia ciò comporti alcun ridimensionamento del ruolo del disegno. Può diventare elemento funzionale, tracciando la silhouette di un gatto bianco che sembra camminare sopra il cornicione di una parete (L’ouvertoure du chat blanc, 2024). Può diventare cancellatura, quasi accecando un gatto in canottiera corpulento ma dallo sguardo assai poco minaccioso (Stringo star, 2023). Può, in un quadro, essere metafora del conflitto stesso che alimenta la pratica dell’artista, definendo nettamente una figura muscolosa con testa felina nella porzione superiore della tela, per poi negarla tracciando segni (o lettere?) in quella inferiore (Gela è in Siberia!, 2023).

“Questi felini hanno quei muscoli che solo un bambino di 8 anni può esprimere, quei muscoli metaforici che arrivano direttamente allo stomaco di un adulto senza lasciargli la possibilità di schivare il colpo. Il mio è un tentativo di tirare fuori i muscoli come fanno loro”. Così in una mail di mesi fa Jacopo mi raccontava la genesi di questa serie. In fondo è evidente, l’artista ha messo alla prova il suo modo di dipingere calcando la mano, cercando una pittura decisamente più “muscolare” del solito. È però un tentativo del tutto in linea con la sua pratica; indisciplinato, istintivo e insieme riflessivo, con cancellature e pentimenti a costellare la figura rivelando quello che sopra chiamavo il presente del quadro.

Di recente mi è capitato di parlare con Jacopo di Vasco Bendini, grande artista a suo modo di provincia, per cui entrambi abbiamo un debole. Su di lui Paolo Fossati ha scritto pagine importanti3, insistendo sulla sua natura di pittore intrinsecamente legato alla figura, anche nel periodo dell’Informale. Forse non c’è modo di abbandonarla davvero, anche quando sembra sparire dal perimetro del quadro. Che scomparsa e apparizione siano facce della stessa medaglia? Molti lavori di Casadei, come i tre dipinti della serie su Valderrama, lo fanno pensare. Torna qui la delicatezza a cui gli altri dipinti tentano vigorosamente di opporsi, solo che ora il soggetto ha un nome e un cognome. Eppure, lo vediamo a malapena, soltanto suggerito o abbozzato; disegnato come un appunto sbrigativo in un cielo che sovrasta i pattern verdi di un campo di gioco (Dieci, 2020); attraverso i soli baffi, occhi e bocca, che giustapposti a uno sfondo colorato danno forma alla testa e alla barba del calciatore (Colombia Pictures, 2024), e che ricordano anche quella di un filosofo non così disprezzato nella Romagna da cui io e Jacopo proveniamo. Lo chiameremo Carlos Marx.

1 Traduzione italiana del titolo di una delle opere esposte, dà voce metaforica ai quadri stessi come se dichiarassero un loro stato di provvisorietà.

2 L. Bertolo, Gli ospiti improvvisi di Jacopo Casadei o del lirismo provinciale, in Ex5, catalogo della mostra a cura di C. Lorenzetti, NFC edizioni, Rimini, 2023

3 P. Fossati, Un appunto per Bendini, in S. Pegoraro (a cura), Vasco Bendini. La ballata dei dieci cieli, Bologna, 1996.